
SCRIGNI MUTANTI: DUE INTERNI CARNICI DI CESCHIA E MENTIL ARCHITETTI ASSOCIATI
© alessandra chemollo
Nella mia continua scoperta del Friuli Venezia Giulia, ho potuto constatare un gran numero di architetture moderne e contemporanee di ottima qualità, ben pensate, ben realizzate e ottimamente conservate. Progettisti sensibili, in linea con le esigenze della committenza ma fedeli a una ricerca spaziale e linguistica attenta al dibattito nazionale e internazionale. Capofila di tutti è stato Gino Valle che ha regalato a questa regione molti progetti e diversi “gioielli” difficili da eguagliare. Ma, escludendo i fuoriclasse, è la media generale che colpisce, soprattutto in località dove sembra difficile possa risiedere alcuna istanza di contemporaneità. Allo stesso tempo, girando per la Bassa e per alcune valli, appare evidente come il processo di “tavernizzazione” si sia diffuso a macchia d'olio, distribuendo sul territorio pareti con pietra a vista, improbabili travature lignee in polistirolo, paccottiglia finto tirolese e altre amenità molto di moda di questi tempi. La presenza, quindi, di opere che cercano di preservare una sincronia con il presente, magari reinterpretando contesti o usi, sembra la traccia di una resistenza pervicace ma necessaria contro la globalizzazione del cattivo gusto passatista. Ecco perché nel mio vagare per la Carnia mi hanno molto colpito due lavori di interni. Entrambi, pur con temi e committenti molto differenti, sono stati realizzati con un approccio simile, ovvero quello di costruire degli spazi in cui la ritualità non venga monumentalizzata ma contribuisca a disegnare una “geografia” reattiva alle esigenze dei fruitori. I progettisti – lo studio Ceschia e Mentil di Venezia – hanno rivelato le proprie origini nell'attenzione riposta nella cura degli ambienti e nella conoscenza delle abitudini locali - Federico Mentil è di Timau, un paesino al confine tra Friuli e Austria – e dimostrato padronanza nella scelta dei materiali e degli arredi. Nello studio notarile di Tolmezzo, il fulcro del progetto è una scatola gialla in cui è collocata la sala per la firma degli atti e attorno a cui gravitano tutti gli altri ambienti. Questo scrigno è internamente rivestito in multistrato di betulla, la cui tonalità viene esaltata dalla luce filtrata delle aperture che permettono la vista sull'interno/esterno dello studio. I vetri satinati o trasparenti, regolano la gradualità della luminosità e della privacy. In questa maniera, lo spazio contribuisce a rendere amichevole l'atto burocratico, restituendo una serietà che non diventa mai seriosità. Nel ristornate di Sutrio una sala diventa un ambiente mutante e polivalente, attraverso le partizioni mobili delle pareti che, grazie a un ingegnoso gioco di pomoli a vite, garantiscono diverse configurazioni assecondando il numero dei clienti. Tavolata da 14 persone, tavoli da due o da quattro, sala proiezione per ospitare piccole riunioni, sono alcune delle trasformazioni possibili. Le luci sottolineano la geometria dei pannelli, anche questa volta in multistrato di betulla, ed evitando la brutalità irradiante degli onnipresenti faretti suggeriscono convivialità e un'elegante domesticità.